
Donald Trump minaccia dazi del 200% su vini, champagne e alcolici europei tramite un post su Truth Social il 13 marzo 2025 e il mondo del vino italiano (e non solo) è entrato in fibrillazione. Con un export verso gli Stati Uniti che nel 2024 ha sfiorato i 1,9 miliardi di euro – pari a circa il 24% delle esportazioni vinicole totali del nostro Paese – la prospettiva di tariffe così punitive sembra, a prima vista, un colpo durissimo. Ma se guardiamo oltre l’allarmismo iniziale, questa mossa, per quanto estrema, va analizzata con attenzione.
L’Italia esporta vino in oltre 190 Paesi, e gli Stati Uniti, pur essendo il primo mercato, non sono l’unico. I paventati dazi potrebbero essere il catalizzatore per una diversificazione già in atto. Pensiamo al Sudamerica, dove l’accordo Ue-Mercosur – in negoziazione da anni – potrebbe aprire le porte a 260 milioni di consumatori. O ai mercati asiatici emergenti come Giappone, India e Paesi del Golfo, che stanno sviluppando un gusto sempre più raffinato per il vino. Nel 2024, l’Italia ha chiuso con una crescita dell’export vinicolo globale: un +3,7% che testimonia una resilienza invidiabile. Spostare l’attenzione su questi mercati non significa abbandonare gli USA, ma costruire una rete più ampia e meno vulnerabile.
I dazi al 200% annunciati da Trump non sono un attacco mirato all’Italia, ma all’Europa intera, inserendosi in uno scontro commerciale con gli Stati Uniti che rischia di travolgere l’economia per inseguire logiche di conflitto. L’Ue, con politiche spesso giudicate rigide da Washington, offre le ragioni, e il vino italiano – che vale 1,9 miliardi di euro solo negli USA – potrebbe finire schiacciato in una guerra non sua. Ma l’Italia ha i mezzi per cambiare il gioco: “A febbraio 2025, il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che i Paesi europei potrebbero dover agire individualmente di fronte ai dazi americani, suggerendo una strategia italiana autonoma accanto a quella europea. Inoltre, Federvini e UIV hanno già chiesto al governo di intervenire per ‘de-escalare’ le tensioni commerciali, come riportato da Euronews il 13 febbraio 2025, un tipo di pressione si traduce spesso in colloqui diretti con controparti americane.” Con il suo peso economico e il prestigio del Made in Italy, Roma può sollecitare un’Europa troppo lenta, trasformando i dazi – leva di pressione di Trump – in un’occasione per ricalibrare le priorità.
Il vino non merita di essere sacrificato: l’Italia ha la voce per farlo valere.
Con il vino come bandiera di cultura e commercio, il nostro Paese ha l’occasione di agire, proponendo nuovi equilibri commerciali che evitino una guerra economica dannosa per tutti. Non è il momento di subire o seguire: Roma può e deve rafforzare una strategia che tuteli il Made in Italy, trasformando la tensione in un’opportunità e dimostrando che il commercio deve essere necessariamente un ponte, non un campo di battaglia.
Se i dazi colpiscono l’Europa, i vini americani e quelli di Paesi come Argentina, Australia o Cile potrebbero guadagnare terreno negli USA. Ma è davvero così semplice? Il Malbec argentino o lo Shiraz australiano non hanno lo stesso appeal culturale del Barolo o del Brunello. Inoltre, un aumento dei prezzi generalizzato – inevitabile in una guerra commerciale – potrebbe livellare il campo, rendendo i consumatori più curiosi di esplorare alternative di qualità. E qui l’Italia ha un asso nella manica: la varietà. Con oltre 300 vitigni autoctoni, il nostro Paese può offrire un ventaglio di opzioni che pochi competitor possono eguagliare.
Non fraintendiamoci: i dazi al 200% sarebbero una batosta, con stime che parlano di perdite dirette tra i 470 milioni e 1 miliardo di euro per il vino italiano, secondo analisi di Unione Italiana Vini (UIV). Ma Trump non è nuovo a queste sparate: spesso usa i dazi come leva negoziale, per poi ritirarli o ridimensionarli. Anche se questa volta andasse fino in fondo, il settore vinicolo italiano ha la storia, la qualità e la flessibilità per trasformare una crisi in un’occasione.
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